venerdì, 29 Marzo 2024

Una delle preghiere più belle è senza dubbio quella di un poeta indiano del XV secolo, certo Kabīr.

Kabīr è uno dei mistici medievali più celebri dell’India.

La preghiera è questa:

“Qualsiasi sbaglio commetta un figlio,

sua madre non sa non perdonare.

O mio Dio, io sono tuo figlio,

tu mi sei anche madre e quindi cancellerai ogni mio sbaglio”.

Penso che questa preghiera incarni l’eco di tutti i popoli della terra e di tutti i fedeli delle diverse religioni.

Questa preghiera mi ha fatto riprendere tra le mani un libro che avevo letto moltissimi anni fa, e precisamente il romanzo “Delitto e castigo” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.

Fëdor MichajlovičDostoevsk venne arrestato nel 1849.

All’arresto seguirà il più grande trauma della vita di Dostoevskij, lo scherzo spietato di Nicola I: una finta condanna a morte. Dopo mesi di processo Dostoevskij e gli altri membri del circolo sono condannati alla fucilazione, la pena è evidentemente spropositata, ma quello dello zar è un gioco di forza: i condannati vengono portati davanti al plotone d’esecuzione, il primo gruppo bendato. Nel secondo gruppo, a guardare e aspettare il proprio turno, c’è Dostoevskij, ma non morirà nessuno. Come in brutto film in quel momento entra un messaggero e la pena di morte è commutata nell’esilio in Siberia.

Nel romanzo “Delitto e castigo”, infatti, si fondono colpa ed imperdonabilità, libertà e condizionamento, peccato e giudizio in un tragico groviglio.

Una cosa è certa: la giustizia ha le sue esigenze.

Come è anche certo lo scopo della religione di “Non far morire il peccatore, ma di farlo convertire perché viva” come dice il profeta Ezechiele.

Chi di voi non ricorda il Salmo 103: “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono, perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere”.

Ricordo che una volta alla domanda “Che cosa è per voi la disperazione?”, un alunno rispose: “Professore per me la disperazione è quando mi ritrovo davanti al mio male, alla mia vergogna, alla mia miseria.”

Il Signore ci ricorda che, nel momento stesso in cui scopriamo il nostro peccato e lo confessiamo, esso ci viene perdonato.

Infatti il profeta Isaia ci dice: “«Su, venite e discutiamo» dice il Signore. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana».”

L’esperienza della penitenza è la scoperta non di un Dio giudice, ma di un Padre che attende il figlio per cancellare la sua colpa e ricondurlo nella sua giusta condizione.

Come non commuoversi quando leggiamo nell’Esodo 20,5-6: “Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.”

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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