giovedì, 25 Aprile 2024

Voglio fare con voi oggi una riflessione sul “deserto” e la vorrei fare con un racconto della tradizione giudaica.

“Il mio rabbino mi ha spesso raccontato la storia di un ebreo sfuggito con la moglie e il figlio dalla persecuzione. Era arrivato, con una piccola barca sballottata dal mare in tempesta, in prossimità di un’isola pietrosa; ma un fulmine colpì la moglie e un’onda trascinò il bambino in mare. Solo, nudo, flagellato dalla tempesta, spaventato dai tuoni e dai fulmini, i capelli al vento e le mani elevate a Dio, l’ebreo si mise ad errare sulle rocce dell’isola deserta dicendo: “Dio d’Israele, sono finito; ebbene, proprio ora non ti posso più servire se non liberamente. Voglio compiere i tuoi comandamenti e santificare il tuo nome perché non ho altro da fare. Ma tu, tu hai fatto di tutto perché io non creda più in te. Potevi pensare di riuscire a tagliarmi la strada? Bene, te lo dico, mio Dio e Dio dei miei padri, no, tu non ci riuscirai. Puoi colpirmi, puoi prendere i miei beni, quello che più mi è caro al mondo, puoi torturarmi a morte: crederò sempre in te, ti amerò sempre, tuo malgrado”.

Come avete notate è un racconto trasparente, pur nella sua paradossalità, un racconto che non ha bisogno di commento.

Tutto si concentra in quel finale: “crederò sempre in te, ti amerò sempre, tuo malgrado”.

Ricordate gli Ebrei subito dopo il passaggio del mar Rosso?

Finalmente liberi si allontanano dall’Egitto.

Ma il canto di lode ha breve durata.

Il passaggio è brusco: oltre il mare si apre ora la desolazione del cammino nel deserto.

Sono sufficienti tre giorni di marcia perché, guardandosi attorno, si rendano conto del contesto in cui ora si trovano: “Nel deserto non trovarono acqua” (15,22).

Sembra che il primo frutto della tanto attesa libertà non sia altro che la visione di una pista arida che non conduce da nessuna parte.

Gli ebrei iniziano a constatare quanto sia grave la loro inesperienza della libertà e quanto essa esiga.

Non basta essere dichiarati liberi formalmente una volta per tutte: la libertà è un mestiere difficile che si impara.

In tal senso il deserto svolge una funzione pedagogica decisiva.

Il deserto, infatti, è il vero maestro della libertà.

Nel deserto la libertà si deve mettere in gioco necessariamente al di là di mille condizionamenti.

Una decisione si esige sempre nella solitudine.

Nicola Incampo

Responsabile della Conferenza Episcopale di Basilicata per l’IRC e per la pastorale scolastica

Pubblicità

Pubblicità
Copy link
Powered by Social Snap