venerdì, 19 Aprile 2024

“I sogni erano più o meno interrotti. Si ritrovò sveglio, immobile, a battere le palpebre nella stanza buia. Le quattro del mattino. Rimase un attimo sotto il piumone senza muoversi. Aveva la maglietta incollata alla schiena – sudori notturni: il cuscino fradicio, le lenzuola madide. Rotola sull’altro lato. Allungati sulle lenzuola gelide. Tieni gli occhi chiusi. Appena aperti gli occhi, appena approdato saldamente alla terra dei vivi, avrebbe trovato i grattacapi di ordine pratico ad aspettarlo, un portapillole già pronto con i farmaci del mattino, affiancato da una bottiglia d’acqua Fiji a temperatura ambiente”.

Inizia così Harvey (Einaudi, traduzione di Giovanna Granato), una narrazione sull’“uomo” Harvey Weinstein più che sul caso Weinstein (una vicenda che ha indignato lo star system hollywoodiano, nonché l’opinione pubblica, ed è costata al produttore una condanna a 23 anni di carcere).

L’Harvey della Cline, non nuova a offrire ritratti inediti di mostri (era già accaduto con Le ragazze, romanzo ispirato alla strage della setta di Charles Manson in casa del regista Roman Polanski), è quasi indifeso, impaurito nell’attesa della sentenza. Ha le sue manie, i suoi riti quotidiani ed è profondamente solo, in preda all’incognita sul suo futuro prossimo. In semilibertà nelle ore che lo separano da quella che sarà l’udienza decisiva, è in balia di pensieri che oscillano tra la convinzione di non aver fatto niente e i comprensibili dubbi sulla sentenza.

La Cline non fa mai riferimento al cognome ingombrante del protagonista: c’è invece una voce fuori campo che descrive minuziosamente un uomo, un uomo comune che non perde qualche mania di grandezza, come quando è convinto di aver riconosciuto nel suo vicino di casa Don De Lillo e già immagina la trasposizione cinematografica di Rumore bianco o quando si rivolge con piglio autoritario ai suoi avvocati.

“Quello che mi interessa sono i momenti di umanità, banalità, noia delle figure oscure del nostro mondo. Il mio Harvey, ad esempio, è meschino nel modo in cui tutti noi siamo meschini”, ha dichiarato la Cline.

Nelle sue ventiquattr’ore più lunghe, Harvey prova a illudersi per un’assoluzione, certo di non aver abusato delle donne che lo accusano. E, volendo imporsi una parvenza di normalità, non rinuncia alle abitudini di sempre, infastidendosi per l’arrivo della figlia e della nipote perché avrebbe voluto trascorrere un pomeriggio guardando serie TV.

Se già sappiamo come si concluderà la storia, notiamo che la non si è lasciata andare a nessun giudizio di merito. Non assolve né condanna, lasciando ai lettori il ritratto di uno degli uomini più chiacchierati degli ultimi anni: lo fa irrompendo nella cronaca, reinventando alcuni episodi e alludendo ad altri. Riuscendo, con maestria e formidabile finezza psicologica, a trasformare un celebre caso giudiziario in un racconto universale e senza tempo.

Emma Cline è nata in California. Le ragazze, il suo primo romanzo (Einaudi 2016 e 2017), è stato un successo di critica e vendite in tutto il mondo. 

Rossella Montemurro

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