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“Gesù non è solo la spada che taglia in due ere il tempo, è anche il punto di convergenza di ogni pensiero e di ogni atto umano”. Il prof. Incampo e “L’orto del Getsemani” di Pasternak

Ho riletto in questi giorni una poesia di Boris Pasternak, intitolata “L’orto del Getsemani”.

La data di nascita di Boris Pasternak è il 29 gennaio 1890 secondo il calendario giuliano in vigore all’epoca in Russia, il 10 febbraio 1890 secondo il calendario gregoriano.

Nato da agiata famiglia, trascorse l’infanzia in un ambiente intellettuale e artistico.

Suo padre Leonid era artista e professore alla Scuola moscovita, mentre sua madre, Rosa Kaufmann, era pianista.

Tra le personalità della cultura – musicisti, artisti e scrittori – Pasternak ebbe modo di incontrare a casa dei genitori anche Lev Tolstoj, per il quale suo padre Leonid illustrò i libri.

Nel 1922 Pasternak sposò Evgenija Vladimirovna Lourie da cui ebbe un figlio. Divorziarono nel 1931.

Seguì un secondo matrimonio nel 1934 con Zinaida Nikolaevna Neuhaus; la famiglia si trasferì nel sobborgo moscovita di Peredelkino nel 1936. T

Tra le sue opere sono da segnalare anche diverse raccolte di poesie, alcune delle quali raccolte nel volume Autobiografia e nuovi versi, che poté pubblicare per la prima volta solo in Italia, e Il salvacondotto, sorta di opera autobiografica riferibile non tanto alle vicende della sua vita quanto alla sua vocazione intellettuale.

Morì di cancro ai polmoni nella sua dacia la sera del 30 maggio del 1960.

Lo scintillio di lontane stelle un’indifferente

luce gettava alla curva della strada.

La strada aggirava il Monte degli Ulivi,

giù, sotto di lei, scorreva il Cedron.

Il prato a metà s’interrompeva.

Dietro cominciava la Via Lattea.

Canuti, argentei ulivi tentavano

nell’aria passi verso la lontananza.

In fondo c’era un orto, un podere.

Lasciati i discepoli di là dal muro,

disse loro: “L’anima è triste fino alla morte,

rimanete qui e vegliate con me. ”

E rinunciò senza resistenza,

come a cose ricevute in prestito,

all’onnipotenza e al miracolo,

e fu allora come i mortali, come noi.

Lo spazio della notte ora pareva

il paese dell’annientamento e dell’inesistenza.

La distesa dell’universo disabitata,

e soltanto l’orto un luogo capace di vita.

E guardando quei neri sprofondi,

vuoti, senza principio e fine,

perché quel calice di morte via da lui passasse

in un sudore di sangue pregò il padre suo.

Lenito dalla preghiera lo spasimo mortale,

tornò al di là della siepe. Per terra

i discepoli, vinti dal sonno,

giacevano nell’erba lungo la strada.

Li destò: “Il Signore vi ha scelti a vivere

nei miei giorni, ed eccovi crollati come massi.

L’ora del figlio dell’uomo è venuta.

Egli si darà in mano ai peccatori. ”

E aveva appena parlato che, chissà da dove,

ecco una folla di servi, una turba di schiavi,

luci, spade e, davanti a tutti, Giuda

col bacio del tradimento sulle labbra.

Pietro tenne testa con la spada agli sgherri

e un orecchio a uno di loro mozzò.

Ma sente: “Non col ferro si risolve la contesa,

rimetti a posto la tua spada, uomo.

Pensi davvero che il padre mio di legioni alate

qui, a miriadi, non m’avrebbe armato?

E allora, incapaci di torcermi un capello,

i nemici si sarebbero dispersi senza lasciar traccia.

Ma il libro della vita è giunto alla pagina

più preziosa d’ogni cosa sacra;

Ora deve compiersi ciò che fu scritto,

lascia dunque che si compia. Amen.

Il corso dei secoli, lo vedi, è come una parabola

e può prendere fuoco in piena corsa.

In nome della sua terribile grandezza

scenderò nella bara fra volontari tormenti.

Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò;

e, come le zattere discendono i fiumi,

in giudizio da me, come chiatte in carovana,

affluiranno i secoli dall’oscurità.”

“Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò;

e, come le zattere discendono i fiumi,

in giudizio da me, come chiatte in carovana,

affluiranno i secoli dall’oscurità.”

Tutta la poesia è intrisa di profonda fede cristiana, una fede presentata in modo fresco e spontaneo.

La Pasqua viene vista come il centro della storia, anzi come avrebbe detto Monsignor Ravasi, come l’estuario verso cui converge tutto il fluire del tempo.

Avete mai riflettuto che Gesù non è solo la spada che taglia in due ere il tempo, ma è anche il punto di convergenza di ogni pensiero e di ogni atto umano.

Nicola Incampo

Responsabile della Conferenza Episcopale di Basilicata per l’IRC e per la pastorale scolastica

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