venerdì, 29 Marzo 2024

“Quello che io volevo e che avevo sempre desiderato era essere perfetta, per la Holmes, per la scena, per mia madre. La perfezione era una tensione che si avvicinava molto al concetto di sparizione. Quando danzavo, la distanza tra vita e morte si azzerava fino ad annullarsi. Il gesto coreografato nasceva e moriva continuamente; così mi sottraevo alla bestialità ciclica del vivere, anche se per il solo tempo illusorio del balletto. Perché tutto si innalzasse al di sopra dell’ovvio e del normale, occorreva ridursi a meno corpo possibile, meno diventava presente il fisico e più sarebbe stato adatto per ballare.  Il come arrivare a quella condizione richiedeva violenza e forza distruttiva. Un pensiero che non poteva essere condiviso da chi riduceva la magrezza a un canone estetico superficiale: noi dovevamo creare un corpo adatto alla danza, e per crearlo dovevamo per prima cosa distruggerlo”. 

È un ritratto tagliente, fisico, a volte spietato e crudo quello del mondo della danza fatto da Francesca Marzia Esposito in Corpi di ballo(Mondadori). Non c’è la grazia della danza che si ammira dalla platea, la serenità nei volti angelici delle ballerine ma ci sono solo corpi portati al limite come osserva Anita, la protagonista e io narrante: “Rendere naturale ciò che è innaturale, la danza non è che questo, pensai”.

I corpi – resi benissimo fin dal titolo – di Anita e Miriam affrontano una lotta quotidiana con il cibo: non sono carnali e desiderabili, sono un qualcosa che tende a diventare “non corpo”: “(…) Danzare era il tentativo di mettere in scena la vita sempre a un passo dalla morte. È tutto surreale, pensai, per danzare devo essere magra, per essere magra devo digiunare, ma non devo dimagrire troppo altrimenti non mi fanno danzare, e però se mangio divento enorme e non mi fanno danzare lo stesso; io purtroppo non ho ancora imparato a mangiare senza ingrassare”.

Anita e Miriam, ventenni, per inseguire il sogno di interpretare “Ondine”, il nuovo balletto che la direttrice della compagnia – un’ex ballerina ossessionata dalla perfezione e dalla magrezza delle sue allieve – ha deciso di mettere in scena, si stanno completamente annullando.

La danza offusca tutto il resto mettendo tra parentesi la vita. Gli allenamenti, sempre più estenuanti, occupano la maggior parte del tempo: le due ragazze, che vivono insieme, a parte foto postate compulsivamente da Miriam sui social, sporadiche telefonate a casa (quando Anita è costretta a prendersi una pausa e tornare per qualche giorno in famiglia è insofferente alla “normalità”) e le visite notturne del ragazzo e di un amico di Miriam, loro non hanno interessi o passioni al di fuori della danza.

Anita subisce il carattere forte ed estroverso di Miriam, è convinta che fra le due sia la migliore, è invidiosa delle attenzioni che le rivolge la Holmes fino a quando, al termine di un’ennesima, massacrante sessione di prove, Miriam perde i sensi.

Anita si scuote, le sue certezze crollano e il suo rapporto con il corpo inizia a ridimensionarsi.

Quello di Francesca Marzia Esposito che, insegnante di danza, l’argomento lo conosce a fondo, è uno stile asciutto, diretto e proprio per questo Corpi di ballo con tutto il suo carico emotivo ha sul lettore un impatto forte, immediato.

Ci sono il rapporto distorto con il cibo, con l’immagine di sé, il corpo obbligato a diventare uno strumento, le manie della perfezione al posto della spensieratezza dei vent’anni: “Non mi sarei mai sognata per esempio di mettere in cantiere un altro essere umano, di avere intenzioni serie di quel tipo, di pensarmi talmente unica da poter cedere all’idea di duplicarmi. Io ero per l’estinzione, la specie umana di mia conoscenza era intasata da brutture, da esseri mediocri, fallati, primitivi, inutili.  Anche per questo danzavo, prendevo distanza dalla realtà abominevole”. 

Francesca Marzia Esposito vive a Milano. Si è laureata al Dams di Bologna e ha conseguito un master in Scrittura per il Cinema all’Università Cattolica di Milano. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati sulle riviste: “Granta”, “‘tina”, “Colla”, “GQ” e altre. Ha esordito con La forma minima della felicità (Baldini & Castoldi, 2015).

Rossella Montemurro
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