giovedƬ, 28 Marzo 2024

Pubblichiamo il messaggio di saluto indirizzato ai giornalisti e agli operatori della Comunicazione da Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo della Diocesi di Matera-Irsina, in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli scrittori:

Carissimi,

intanto grazie perchĆ© ci siete e stasera siete qui, nonostante lā€™orario. Esserci ĆØ importante. Significa amare quanto si fa, mettendosi continuamente in ascolto della storia, in particolare di quella del nostro territorio, della nostra Provincia, della nostra Regione. Siete una presenza significativa che ci aiuta a crescere e ci permette di costruire relazioni umane fondate sulla reciprocitĆ  dellā€™incontro. Anche una conferenza stampa diventa unā€™opportunitĆ  per ascoltarci al fine di rendere un servizio calato nella realtĆ  e utile allā€™intera collettivitĆ .

In una intervista di qualche anno fa, fatta da Giovanni Nardi, pubblicata sulla rivista DOC, al giornalista Tiziano Terzani  (Firenze, 14 settembre 1938 ā€“ Pistoia, 28 luglio 2004)  alla domanda se il giornalismo fosse un mestiere come tanti, o un’altra cosa, rispoSe:

ā€œNon ĆØ un semplice mestiere, non un modo di guadagnarsi da vivere, ma qualcosa di piĆ¹, che ha una grande dignitĆ  e una grande bellezza, perchĆ© ĆØ consacrato alla ricerca della veritĆ . Ecco il suo valore morale, avvertibile nel modo di raccontare, nel presentare i fatti. Certo la scuola, anche una scuola ad hoc, aiuta, ma ĆØ propedeutica, perchĆ© nessuna scuola potrĆ  mai insegnarti la missione, non ti dĆ  quella cosa in piĆ¹ di cui hai bisogno: la vocazione. E certe scuole di giornalismo mi hanno fatto l’impressione di essere frequentate da seminaristi senza vocazione. Se uno fa il meccanico e lo fa bene, nulla da dire; ma se uno fa il prete, per farlo bene deve avere qualcosa in piĆ¹. E il giornalista ĆØ come il prete: deve avere la chiamata, la vocazione, sentire la missioneā€.

Nei suoi messaggi annuali Papa Francesco ci sta conducendo a riscoprire quanto siano fondamentali nei rapporti umani, e quindi nella comunicazione, i nostri sensi. Eā€™ importante toccare, vedere, rendersi conto personalmente, in cerca della veritĆ  che aiuta ad essere veramente liberi. VeritĆ  che ci consente di aiutare gli altri perchĆ© godano della stessa libertĆ .

Questā€™anno il Papa insiste sullā€™importanza del parlare con il cuore secondo veritĆ  nella caritĆ , a completamento del messaggio dello scorso anno dellā€™ascolto con lā€™orecchio del cuore. Da quando sono stato ordinato sacerdote (ormai mi avvio verso i 42 anni) ĆØ cresciuta dentro di me la consapevolezza che ogni generazione ha bisogno di essere ascoltata. Cā€™ĆØ bisogno di tempo, andando oltre i luoghi convenzionali.

Per ascoltare e parlare con il cuore bisogna fermarsi, stare accanto, non sottovalutare alcuna percezione. Significa catturare in ogni linguaggio quel bisogno di vita, di amore, di pace che a volte si nasconde dietro un dire aggressivo, apatico, dispettoso e forse anche maleducato. Penso ad esempio cosa vogliano dirci i giovani attraverso la musica, i graffiti, le marce per difendere il creato, il desiderio di pace.

La crisi che stiamo vivendo risiede nella mancanza di ascolto, a partire dai luoghi intimi quali le nostre case. La famiglia ne soffre, si frantuma, si divide. Ognuno prende la sua strada, ha i suoi orari, la sua privacy.

Si sente ma non si ascolta, per cui non si parla. Non si ha tempo per la moglie, per il marito, per i figli, per i genitori. Le conseguenze sono note a tutti. La stessa cosa succede nella politica, a volte anche nella Chiesa. Le proprie ragioni diventano piĆ¹ importanti del bene di tutti.

Ascoltare e parlare con il cuore significa rientrare in se stessi, ritornare al principio di vita. Per noi credenti implica il rapporto dialogico tra Dio e lā€™umanitĆ . UmanitĆ  che da sempre viene richiamata da Dio. Dio cerca Adamo, dopo lā€™esperienza del fallimento di affermare se stesso, e gli chiede: ā€œDove sei?ā€. Anche oggi ci cerca e ci chiede la stessa cosa.

Chi ha dimestichezza con la Sacra Scrittura sa che i comandamenti di Dio sono introdotti da questa espressione: Ā«Shemaā€™ Israel – Ascolta, IsraeleĀ» (Dt 6,4). Il popolo dā€™Israele ripete continuamente a se stesso questa espressione. Noi cristiani diciamo: ā€œmettiamoci in ascolto della Parola di Dioā€.

Nei momenti difficili della vita, di smarrimento, di dolore, di malattia, della morte che bussa alle nostre case, siamo noi che spesso diciamo a Dio: ā€œDove sei?ā€, oppure ā€œdovā€™eri?ā€. Percepiamo che tra lā€™umano e il divino si ĆØ venuto a spezzare quel dialogo che nasce dallā€™ascolto. Eppure Dio cā€™ĆØ sempre e continua a condividere la nostra condizione umana, riempiendo di senso ogni momento della vita: concepimento, nascita, crescita, gioie e sofferenze, persino la morte. Il divino si cala nellā€™umano perchĆ© questi si immerga nel divino.

Cā€™ĆØ una frase che, tuttavia, GesĆ¹ dice ai suoi discepoli sulla qualitĆ  dellā€™ascolto: Ā«Fate attenzione dunque a come ascoltateĀ» (Lc 8,18). Cā€™ĆØ un ulteriore passaggio, dal sentire allā€™ascoltare, ora dallā€™ascoltare al come ascoltare. Per dirla con S. Agostino dovremmo dire a noi stessi che oggi cā€™ĆØ bisogno non tanto di avere il cuore nelle orecchie ma le orecchie nel cuore (Sermo 380, 1: Nuova Biblioteca Agostiniana 34, 568).

Dallā€™ascolto personale, interiore, nasce il bisogno di un ascolto che si dilata, abbraccia e accoglie la veritĆ  insita negli altri con le loro ricchezze e povertĆ . Intercettare lā€™altro significa entrare in relazione e aprirsi allā€™Assoluto che ĆØ Dio. Significa parlare il linguaggio della veritĆ  e della caritĆ .

La povertĆ  piĆ¹ triste alla quale assistiamo oggi ĆØ quella sposata da un certo tipo di comunicazione e informazione che non ha una adeguata conoscenza delle persone e dei fatti. Spesso e volentieri la denigrazione che troviamo nellā€™uso sconsiderato dei social nasce da pregiudizi, antipatie, sentito dire. S. Francesco di Sales portava un esempio sempre attuale sul modo di riportare le notizie. Affermava quanto fosse importante imparare dalle api per fare bene il proprio lavoro. Al contrario delle api, le vespe succhiano il nettare dai fiori che non trasformano in miele ma in veleno. La sua riflessione porta a suggerimenti concreti nellā€™uso delle parole: utilizzare ā€œmeno aceto e piĆ¹ mieleā€, ā€œmeditando prima per sĆ© quello che si vuole dire agli altriā€. La veritĆ , per S. Francesco, sta al centro di tutto, va riportata con umiltĆ  e semplicitĆ , evitando la tentazione dellā€™arroganza ā€œper rendere poi reali e amabili le cose che diciā€. A conclusione del suo ragionamento fa un invito ben preciso: ā€œSintesi, acutezza, espressivitĆ  fanno vibrare le cose che dici, perchĆ© quello che tu dici entrerĆ  veramente nel cuore dellā€™altro, solo se esce prima dal tuo cuore!ā€.

Solo dallā€™ascolto puĆ² nascere un sano dialogo. E questo richiede tre virtĆ¹ fondamentali: pazienza, pazienza, pazienza! Quanti pregiudizi bisogna vincere! Quanti volti di persone bisogna scoprire! Quante storie raccontare ma solo dopo aver ascoltato!

Carissimi, mentre vi ringrazio per il complicato ma prezioso servizio che rendete attraverso una sana informazione, vi assicuro la mia preghiera e benedizione, affinchĆØ quanto ci comunicate sia frutto di un ascolto serio, sincero, sofferto.

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