giovedì, 25 Aprile 2024

 

“Alma lo sapeva, aveva intuito questo mio essere uomo interrotto dai lavori in corso di un’infanzia mai conclusa. Il capriccio di tradire mia moglie, espormi al rischio di perdere tutto, disubbidire alle regole della buona condotta, pestare i piedi per soddisfare un desiderio, accantonare i doveri come abiti non più indossabili. Il marito mi andava stretto, il padre mi stava corto, il dirigente si abbottonava appena, non ne potevo più di andare in giro con addosso taglie sbagliate e scomode”.

Cesare ha tutto, davvero – una famiglia accogliente, una moglie impeccabile, una figlia graziosa, un buon lavoro. Eppure basta la voglia di evasione a mandare all’aria quel mondo così perfetto e a trascinarlo a poco a poco in un incubo – un incubo che implode dentro e che lui, agli occhi di tutti, nega.

“(…) Non riesco a stare nel tempo e nel posto giusto, perdo l’istante, sbaglio la posizione, per la mia famiglia funziono come un orologio distratto che dimentica le lancette fuori dal quadrante, così il tempo scorre e io non posso segnarlo, occuparlo, prendermi lo spazio dei numeri e poi dire ecco, sono qui, l’uomo presente a ogni secondo, ventiquattr’ore su ventiquattro marito e padre, sì, soprattutto padre. Per Maya non dovrei mancare né smettere mai, essere la successione costante dei minuti che mandano avanti i giorni”.

Cesare è il protagonista e la figura più tormentata del nuovo romanzo di Elena Mearini, E’ stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo), una storia intensa e struggente sulla relatività della felicità, sull’imprevedibilità della vita e su quell’attimo che può cambiartela per sempre. Ogni personaggio – descritto con cura dalla Mearini – non è ciò che appare, ciascuno porta dentro dolore, rancore, voglia di riscatto.

E’ stato breve il nostro lungo viaggio – un verso di Montale quanto mai indicato – si distingue per l’introspezione, ci costringe a guardare in faccia i nostri fantasmi e non ci concede alcuna tregua. Era già accaduto in Bianca da morire (Cairo): anche in questo nuovo romanzo si ritrovano eleganza e raffinatezza stilistica in una storia complessa. E’ inevitabile addossarsi le angosce di Cesare e chiedersi, arrivati all’ultima pagina: cosa avrei fatto al suo posto?

La Mearini si conferma una scrittrice fuori dagli schemi che non ha paura di raccontare storie al limite, dal forte impatto psicologico.

Come è nata la trama di E’ stato breve il nostro lungo viaggio?

“La trama è nata dal bisogno di indagare cosa si nasconde dietro le maschere quotidiane che noi tutti indossiamo, quale mancanza, urgenza, silenzio e voce si cela oltre il ruolo sociale che giochiamo più o meno efficacemente. Al di là di un padre, un figlio, una moglie, un’amante, chi vive? M’interessa osservare la dimensione umana in forma libera, fuori da ruoli, categorie e pregiudizi”.

 E’ come se i protagonisti del suo libro vivessero in maniera inautentica: il marito e padre esemplare, la moglie devota, l’amante spregiudicata. Dietro le apparenze, però, c’è ben altro destinato a venir fuori in maniera drammatica. Perché ha scelto di delineare i personaggi in maniera così estrema?

“Spesso, per rispondere ai bisogni della società e accondiscendere ai desideri degli altri, perdiamo di vista la nostra verità, mettiamo a tacere il senso del nostro stare ed essere al mondo. Smarriti, ci aggrappiamo a stereotipi estremi, chiarissimi nel loro eccesso (padre ideale, moglie perfetta etc.), per poterci definire ai nostri occhi e a quelli degli altri, poter dire allo specchio e alla società: “Ecco, io sono questo””.

 E’ stato breve il nostro lungo viaggio ha una trama che ha in sé molto dolore, che non lascia indifferenti e invita a riflettere. Da scrittrice, si è lasciata travolgere da tanta complessità emotiva?

“Il coinvolgimento è inevitabile, la scrittura è un po’ il mestolo che mischia gli ingredienti nella ciotola, e il mestolo facendo ciò si sporca, deve, è questo il suo scopo, sporcarsi per amalgamare, legare, comporre un buon impasto. Quando scrivo, cerco sempre di aderire alle dinamiche reali, fatte di magie e sporcature continue”.

 Lei conduce laboratori di scrittura in comunità e centri di riabilitazione psichiatrica. Quanto attinge da queste esperienze, visto che i personaggi che descrive nei suoi romanzi sono spesso molto introspettivi?

“Credo nella parola che interroga, solleva dubbi, porta in vita domande, e facendo ciò cura, nel senso che segue con attenzione le necessità dell’anima. Nel mio lavoro di docente incontro molte vite che desiderano raccontarsi, ogni loro storia contiene una possibilità di esistenza, agisce un po’ come il romanzo che deve mostrare un’ipotesi di vita”.

 Quali sono i suoi modelli letterari?

“Amo gli autori che non arretrano di fronte alla bellezza abbagliante e al terribile spaventoso di cui è fatta la vita. Hrabal, Celan, Artoud, Celine, Yates, Canetti per citarne alcuni”.

 Elena Mearini è nata nel 1978 e vive a Milano. Si occupa di narrativa e poesia, conduce laboratori di scrittura in comunità e centri di riabilitazione psichiatrica. Nel 2009 esce “360 gradi di rabbia”, Premio Giovani lettori Memorial Gaia di Mani Proietti (Excelsior 1881), nel 2011 pubblica per Perdisa Pop “Undicesimo comandamento”, finalista al “Premio Maria Teresa di Lascia”. Seguono il terzo romanzo “A testa in giù” (Morellini Editore), vincitore “Premio Gerundo,” e le raccolte di poesie “Dilemma di una bottiglia” (Edizioni Forme Libere) e “Per silenzio e voce” (Marco Saya Editore). Per Cairo nel 2016 ha pubblicato “Bianca da morire”, segnalato dalla giuria del Premio Campiello, mentre è del 2017 la raccolta poetica “Strategia dell’addio” (LiberAria).

Rossella Montemurro

 
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