giovedì, 25 Aprile 2024

Tradotta nel corso della sua carriera letteraria in greco, romeno, francese, arabo, inglese, spagnolo, catalano, georgiano e napoletano, la poetessa, scrittrice, sociologa e mediatrice familiare beneventana Rita Pacilio è approdata alla narrativa con il romanzo Cosa rimane, pubblicato con Augh Edizioni per la collana Frecce.

Forte è il suo impegno nell’ambito della poesia, della critica letteraria, del metateatro, della saggistica, della letteratura per l’infanzia e del vocal jazz.

Rita, per fare l’esperienza del romanzo hai dovuto ampliare il tuo punto di osservazione?

“Sì, per fare l’esperienza del romanzo ho avuto bisogno di aggiungere, modificare e ampliare ogni rappresentazione della realtà che conoscevo e mi apparteneva cercando spazi nuovi da analizzare e sviscerare e in cui la ricerca più coerente del mio lavoro trovasse espressione grazie agli innumerevoli motivi e alle storie vive in tutto il materiale umano che ho raccolto nel tempo.”

Parlaci di Cosa rimane…

Cosa rimane può essere definito un insieme di palcoscenici in cui metto a disposizione dei lettori diverse scene umane, esistenziali ed emotive prevaricando le barriere del moralismo in cui gli uomini, soprattutto quelli appartenenti a culture ed epoche storiche del passato, restano facilmente schiacciati dalle congiure del pregiudizio. Ecco perché mi piace definire il mio romanzo una confessione o più confessioni.”

Sei riuscita, attraverso le sue pagine, a toccare tutte le tematiche che ti stavano a cuore?

“Sì, ho parlato di tutte le tematiche che ho a cuore e che già in poesia, nel corso degli anni, ho approfondito in versi o in prosa poetica. Comunque, credo che nessun lavoro possa essere considerato veramente chiuso. A tal proposito, ricordo con affetto il poeta Giancarlo Majorino che sotto braccio portava un paio dei suoi libri tutti imbrattati da modifiche come in una sempre nuova versione ufficiale. Un po’ è così anche per me.”

Potresti immaginare una trasposizione teatrale o cinematografica del tuo romanzo?

“Sì, le scene del mio romanzo potrebbero appartenere al cinema o addirittura al teatro. Potrebbe essere una vera provocazione per raccontare le avventure drammatiche e veritiere dei miei personaggi così da valorizzarne la funzione della denuncia, cioè la funzione sociale a cui tengo particolarmente.”

Sei una donna di cultura abbracciando più arti e più generi. Quale avverti che sia la direzione del panorama culturale odierno?

“Credo sia molto riduttivo e banale fare polemica riguardo al panorama culturale dei nostri giorni. Certo, assistiamo al pressapochismo e all’ignoranza che troviamo sui social, ma la letteratura e le altre forme artistiche sanno mantenersi distaccate dalla superficialità e dalle contraddizioni del nostro tempo arricchendosi e distaccandosi dai falsi miti, alimentandosi, quindi, con generosità e ambizione di grandi sentimenti e grandi intenzioni.”

Infine, ti cito la celeberrima affermazione “La bellezza salverà il mondo”: Dostoevskij aveva ragione?

“Ciò che salverà il mondo sarà l’amore. Bisognerebbe prendere coscienza che senza amore saremmo creature limitate e povere, cioè spettatori della nostra stessa vita. Invece, tutti dovremmo sentirci coinvolti e chiamati alla salvezza del mondo. Tutti, infatti, siamo attori e apparteniamo alla bellezza dell’umanità come prodotti culturali ideati per creatività, originalità, eccellenza e talento. Chi più, chi meno. Con molta magnanimità sento di dire che in questo senso la bellezza ci potrà salvare.”

Francesca Ghezzani

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