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Con l’indulgenza la Chiesa si fa carico di sostenere la nostra debolezza

Tutto il mondo ha visto ieri, venerdì 27 marzo, sul sagrato di San Pietro, il Papa che ha presieduto un momento di preghiera, al termine della quale ha impartito la benedizione Urbi et Orbi (alla città e al mondo), e ha concesso a tutti l’Indulgenza plenaria secondo le condizioni previste dal recente decreto della Penitenzieria Apostolica (19 marzo 2020).

Vorrei ricordare che il decreto concede l’Indulgenza ai malati di Coronavirus, nonché agli operatori sanitari, ai familiari e a tutti coloro che a qualunque titolo – anche con la preghiera – si prendono cura di essi. 

Il valore dell’indulgenza lo troviamo nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che così afferma «le indulgenze sono la remissione davanti a Dio della pena temporale meritata per i peccati, già perdonati quanto alla colpa, che il fedele, a determinate condizioni, acquista, per sé stesso o per i defunti mediante il ministero della Chiesa, la quale, come dispensatrice della redenzione, distribuisce il tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi».

Questo significa che anche dopo che la colpa dei peccati è stata perdonata mediante l’assoluzione, resta da rimettere la «pena temporale», che, appunto viene garantita dall’indulgenza, che sarà parziale (rimette parte della pena) o totale (rimette l’intera pena), come il caso di quella conferita da papa Francesco venerdì passato.

Per beneficiare dell’indulgenza occorre compiere pratiche religiose che consistono nella ricezione dei sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia, nella recita di una preghiera secondo le intenzioni del Papa, nella visita ad una chiesa o a un luogo di culto.

Il difficile momento che stiamo attraversando ha indotto il Papa a stabilire una forma speciale di indulgenza plenaria che faccia concretamente avvertire che Cristo si fa presente attraverso la sua Chiesa con il conforto del perdono e con la sua grazia.

Non ci si può accostare ai sacramenti della confessione e della comunione, essendo le chiese perlopiù chiuse e con divieto di celebrarvi il culto. Si è così richiesto di unirsi spiritualmente, là dove è possibile attraverso i mezzi di comunicazione, alla celebrazione della Messa o alla recita del Rosario o alla Via Crucis o ad altre forme di devozione. Se anche questo non è possibile, è chiesto di recitare il Credo, il Padre Nostro e un’invocazione a Maria.

Oltre che in gesti di preghiera, elemosina e digiuno, il percorso penitenziale può esprimersi nella paziente sopportazione delle prove della vita.

L’Indulgenza è uno dei modi attraverso cui la Chiesa si fa carico di sostenere la nostra debolezza, perché ci sia dato di realizzare una conversione profonda ed efficace, eliminando anche «l’impronta negativa» che i peccati – nostri e altrui – hanno lasciato nel mondo.

«L’indulgenza non sostituisce il difficile lavorio dell’amore […]; essa è piuttosto l’aiuto della Chiesa volto a favorire l’opera sempre difficile dell’amore» (Karl Rahner).

Questo aiuto la Chiesa lo offre attingendo al «tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi».

Quando si parla di «tesoro della Chiesa», ci si riferisce proprio a questa comunione d’amore nella quale siamo introdotti grazie alla preghiera per ottenere l’indulgenza.

Nicola Incampo


Responsabile Regionale per l’IRC e la Pastorale Scolastica della Conferenza Episcopale di Basilicata

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