venerdì, 26 Aprile 2024

“Eravamo una famiglia del tutto normale, e poi è cambiato tutto.

Ci vuole tempo per costruire una vita, ma basta un secondo per demolirla. Ci vogliono anni, decenni, forse una vita intera, per diventare chi siamo veramente. Le vie sono quasi sempre tortuose, e credo ci sia un motivo, credo che la vita si costruisca per tentativi e che noi siamo il risultato delle prove che superiamo.

Comprendere il senso di ciò che è successo alla nostra famiglia quest’autunno, però, è difficile. So che non è possibile capire tutto, e che anche questo ha un significato preciso, ma non riesco proprio a dare un senso agli avvenimenti delle ultime settimane. Non riesco a spiegarli, né a me stesso né agli altri”.

Una famiglia quasi normale (traduzione di Samanta K. Milton Knowles) ha scalato le classifiche svedesi vendendo più di 60.000 copie in poche settimane ed è in corso di pubblicazione in trentuno Paesi. Il thriller di Mattias Edvardsson (insegnante di liceo nato a Löddeköpinge) che Scott Turow ha definito “intenso e di grande fascino” è arrivato anche nelle librerie italiane per Rizzoli. Non aspettatevi adrenalina a mille o colpi di scena a ogni pagina: troverete solo tre voci, quelle della famiglia Sandell, sullo sfondo di Lund, la città de Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, all’indomani dell’omicidio di un ragazzo di buona famiglia ma dal passato controverso.

Dei Sandell fanno parte Adam, pastore della chiesa di Svezia, sua moglie Ulrika, avvocato e la figlia 19enne Stella. Irreprensibili, fino all’omicidio di cui è accusata proprio Stella e che getterà luce su una realtà che non era quella che sembrava. Perché Adam ha una fede un po’ traballante e Ulrika riesce a manipolare le situazioni, ad essere convincente nel far credere all’interlocutore ciò che lei vuole. Così, chiusi in un bozzolo che spesso, soprattutto per quanto riguarda Adam, assume contorni paranoici, devono affrontare – in primis psicologicamente – il dramma che ha sconvolto il loro ménage. Ciò che raccontano, ognuno dal proprio punto di vista, evidenzierà sfumature inaspettate e la stessa situazione – si accorgerà il lettore – sarà vissuta e interpretata diversamente.

“Eravamo una famiglia del tutto normale. – confida Adam – Avevamo lavori interessanti e ben pagati, una nutrita cerchia sociale, e dedicavamo il tempo libero ad attività sportive e culturali. Il venerdì mangiavamo cibo da asporto guardando Idole ci addormentavamo sul divano prima di vedere i risultati del televoto. Il sabato pranzavamo in città o in qualche centro commerciale. Guardavamo la pallamano o andavamo al cinema, oppure ci vedevamo con gli amici davanti a una bottiglia di vino. Di sera ci addormentavamo sdraiati vicini. Passavamo la domenica nel bosco o in giro per musei, facevamo lunghe telefonate con i nostri genitori oppure ci accoccolavamo sul divano, ognuno col proprio romanzo. Spesso concludevamo la domenica seduti a letto con tutti i nostri fogli, raccoglitori e computer a programmare la settimana lavorativa che stava per cominciare. Il lunedì sera mia moglie andava a yoga, e il giovedì io giocavo a bandy. Avevamo un mutuo di cui pagavamo diligentemente le rate, facevamo la raccolta differenziata, restituivamo in tempo i libri della biblioteca e in auto mettevamo sempre la freccia e rispettavamo i limiti di velocità”.

È vero, lo ribadiamo, il ritmo non è quello consueto dei thriller, eppure Una famiglia quasi normale riesce a catturare con la stessa intensità: c’è molta introspezione, bisogna essere scaltri per cogliere gli indizi e andare oltre le apparenze di quei legami così forti e fragili allo stesso tempo (si pensi a quello della famiglia Sandell o tra Stella e Amina, l’amica del cuore: fortissimo, fin quando Stella che ha da sempre problemi comportamentali non le sferra un pugno…).

Una famiglia quasi normale è una rivelazione, senza alcun dubbio. Da leggere, assolutamente.

Rossella Montemurro
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