giovedì, 28 Marzo 2024

Sono 20mila i camici bianchi che, tra Pronto soccorso, ospedali e medici di famiglia mancano in Italia.

A oggi sono 53 milioni le persone sopra i 14 anni in carico ai 43mila medici di medicina generale. Questi ultimi, per la maggior parte sono entrati in servizio negli anni Settanta o Ottanta, e già si sapeva che a 68-70 anni avrebbero cessato la loro professione. Ogni volta che un medico va in pensione, ci sono circa mille cittadini che rimangono senza medico di base: in sostanza, non c’è stata programmazione di un ricambio ampiamente prevedibile.

Per capire come sta andando a Matera e in provincia, ne abbiamo parlato con la dottoressa Caterina Bruno del direttivo SIMG  (Società Italiana di Medicina Generale) della Città dei Sassi.

Secondo una stima dell’Agenas mancano circa 1200, 1300 medici di famiglia. Soltanto a Roma ne mancano 20 e, considerando che ogni medico assiste in media 1200 pazienti, equivalgono a oltre 20mila persone senza medico di famiglia. Qual è la situazione a Matera e nell’hinterland?

“La situazione inizia a essere davvero critica soprattutto nella provincia di Matera perché ci sono molti paesini che risentono della carenza di medici di base, come San Mauro Forte, Accettura, Ferrandina e Montescaglioso. È indispensabile accelerare la riforma. Purtroppo, ha inciso da un lato la mancata programmazione del numero di medici rispetto alla popolazione assistibile, dall’altro il fatto che accettare incarichi in paesini in cui la popolazione è esigua significa dover trasferirsi lì ed essere impegnati dal lunedì al venerdì guadagnando meno rispetto a chi fa turni in guardia medica. Fattori che rendono poco appetibile la Medicina generale e che fanno sì che alcuni paesi siano sprovvisti di guardia medica e assistenza notturna. Bisogna riorganizzare l’assetto, tenendo presente che dopo due anni di Covid i medici di base sono ormai esausti ed è, inoltre, recente l’allerta ricevuta dal Ministero per il vaiolo delle scimmie.”

Dopo aver perso 3mila medici di famiglia tra il 2013 e il 2019 ora è anche partita la corsa ai pensionamenti: se ne prevedono 35.200 entro il 2027. Ci sono regioni che, per tamponare situazioni critiche, permettono in via eccezionale ai medici di base di continuare a lavorare anche se in pensione, altre hanno aumentato a 1800 il massimale teorico di 1500 pazienti per medico. Quale potrebbe essere l’ipotesi migliore per contrastare gli inevitabili disagi dei pazienti e degli stessi medici?

“In primis una programmazione a lungo termine: calcolare il fabbisogno dei medici, farli entrare in servizio da qui a 20 anni in proporzione al numero della popolazione assistibile. Adesso abbiamo l’emergenza, dobbiamo per forza di cose sistemare l’assistenza sia nel Materano sia nel Potentino dove si deve evitare che per qualsiasi cosa ci si rivolga al Pronto soccorso, riprogrammare il tutto affinché ci sia la capillarità dell’assistenza sanitaria in modo tale da essere uniforme anche nei piccoli centri. Le Case di comunità e le Case della salute programmate dalla Regione assicurano una sanità per interventi secondari e in un contesto simile il medico di famiglia deve essere ancora più capillare. Bisogna rivedere l’Aggregazione Funzionale Territoriale (AFT) nella quale lavora un micro-team composto da medico, infermiere e personale di studio. La parte burocratica deve essere svolta dal personale di studio (pensiamo solo al tempo andato via ai medici di base per le procedure per ottenere il Green pass!), il medico di famiglia supervisiona e l’infermiere deve svolgere operazioni di tipo sanitario. In questo modo, la AFT accoglierebbe tutti i codici verdi che intasano di giorno il Pronto Soccorso. Attualmente ci sono soltanto i punti Unimed di Matera e Montescaglioso: cooperative di medici di medicina generale che si avvalgono di cooperative di servizi, infermieri e personale di studio con orari di ambulatorio e turni dalle 8 alle 20. Il cittadino, telefonando alla segreteria, si fa passare il medico in turno. È un modo ottimale per gestire il codice verde, altrimenti il 118 non ce la fa. Con le demedicalizzazioni (l’abbandono da parte della componente medica dei servizi di emergenza e di pronto soccorso del 118, ndr) per legge il cittadino va trasportato in ospedale in quanto l’infermiere non ha la competenza di fare diagnosi. Con la AFT tramite computer il medico acquisisce subito la scheda sanitaria del paziente e agisce di conseguenza: ecco perché l’unica strada è questa, una soluazione che consente dal medico da un lato di arrivare a casa del cittadino dall’altro di guadagnare un tot in base alle scelte e un tot in continuità. Ciò allo Stato costa meno e il cittadino non può che avere beneficio. Ricordiamoci inoltre che, ad esempio, l’anziano da Oliveto Lucano non lo schiodi e lui ha il diritto ha diritto di essere curato a casa.”

La FIMMG può suggerire qualcosa per ovviare a quanto sta avvenendo?

“C’è un dibattito molto acceso in merito. In alcune realtà si propone ai pazienti un abbonamento mensile di 50 euro per poter chiamare sempre il medico, anche nei festivi. Noi, invece, dobbiamo difendere la sanità pubblica, che è bellissima ma deve andare la passo con l’epoca moderna perché non siamo più negli anni Cinquanta: quel modello non funziona più, non ci sono i medici e il medico di continuità assistenziale non ha strumenti e non ha infermieri. Per fare un esempio: se devo fare una sutura non la posso fare perché non ho un ambiente sterile, se devo prendere una vena non ho la stessa manualità di un infermiere.”

Nell’immediato sono ipotizzabili problemi anche da noi, come sta accadendo in altre zone d’Italia?

“Tanto a Matera tanto a Potenza, il Pronto soccorso va in sofferenza, sovraccaricato dai codici verdi. Bisogna capire il perché: molto probabilmente il medico di Medicina generale non ha risposto al telefono. In questa categoria c’è un burn-out marcato. Capita che non rispondo quando ho finito le mie ore ed è invece quello proprio il momento in cui dovevo rispondere. Il medico posso trovarlo se posso dilazionare: la guardia medica con aggregazione funzionale ha un rapporto di un medico ogni diecimila abitanti e non di uno ogni 65mila nelle grandi città. Abbiamo immaginato come vorremmo lavorare e quali sono le richieste del cittadino e proporremo il nostro progetto al dott. Tripaldi della Direzione Generale per la salute e le politiche della persona della Regione Basilicata”.

La carenza di medici di famiglia che si sta registrando è dovuta a ritardi nella formazione o quella del medico di base non è più una professione appetibile per i giovani laureati in Medicina?

“Ci sono state poche borse, la Basilicata soffre tanto per aver formato medici di altre regioni: sono venuti qui per superare il concorso ma una volta preso il titolo sono tornati a casa. Prima venivano in Basilicata medici pugliesi e calabresi, adesso rimangono nelle loro regioni perché c’è bisogno. È necessario offrire degli incentivi, rendere la regione appetibile per i medici che risiedono qui”.

Rossella Montemurro

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