Mamme orgogliose e bimbe troppo piccole trattate “da grandi”: perché nel mondo che gravita attorno alle baby miss i confini sono tutti sfumati e non si sa quanto davvero ci sia – ammesso che ci sia – una componente ludica e spensierata per le piccole e quanto invece sia un lavoro vero e proprio che dell’infanzia non contempla nulla.
Bellissime (Fandango) di Flavia Piccinni, scrittrice e giornalista tarantina, è un reportage in presa diretta dietro le quinte dei casting, delle sfilate, dei concorsi di bellezza – croce e delizia di madri spesso frustrate che provano a realizzare tramite le figlie i propri sogni infranti troppo presto o mai concretizzatisi.
La Piccinni ha respirato l’aria dei backstage, ha osservato le dinamiche contorte mamme-figli e quelle ancora più perverse messe in atto dagli organizzatori dei casting. Da un lato ci sono donne che sembrano omologate – belle, curate, orgogliose delle aspiranti baby modelle – e cieche a ciò che accade attorno ai figli – lasciati, talvolta, per ore sul set, senza mangiare e senza bere. Dall’altro c’è uno staff di fotografi, truccatori, operatori dai modi melliflui ma dalla scarsa empatia e dalla completa ignoranza in merito all’universo infantile. Bene, tra questi antipodi ci sono loro, le piccole miss, le “cucciole”, bambine che invece di giocare con i coetanei sopportano con infinita pazienza che mani estranee le trasformino in tante splendide lolite – con make up e abiti inopportuni per l’età di tre, quattro, cinque anni. Poi, viaggi estenuanti per raggiungere il luogo dei casting, da una parte all’altra dell’Italia, e l’incognita dell’esito.
E’ come se si sacrificasse una figlia o un figlio non si sa bene in nome di cosa: l’orgoglio di vederli sfilare, di ammirarli in uno spot televisivo o nel catalogo di un noto brand. La contropartita di tutto questo, infatti, non è data dai soldi – a meno che non si arrivi a sfilare o a posare per un catalogo di brand molto noti, i compensi sono davvero esigui.
Dopo i numerosi colloqui che ha avuto con le mamme, i piccoli e gli organizzatori di casting e sfilate per baby modelle, qual è la sua opinione personale su tutto ciò che ruota attorno alla moda bambino?
“Come tutti i mondi – ed è qui che le generalizzazioni svelano le loro mancanze – ci sono persone che mi sono parse orribili e persone meravigliose. Ci sono persone che lottano per cambiare le cose – come mi ha detto ieri una ragazza che lavora in un’agenzia per piccole modelle: “è un mondo che ci piace con delle cose che non funzionano, e noi ci impegniamo per mutare le cose che non vanno” – e altre che foderano di sorrisi tragiche strumentalizzazioni. E ci sono le mamme equilibrate e le mamme arriviste. E poi, soprattutto, ci sono le bambine. Scrivendo Bellissime ho provato a essere il meno giudicante possibile, ma a volte non ci sono riuscita. Se vedere delle bambine divertirsi e giocare nei backstage è naturalmente piacevole, meno lo è assistere all’ipersessualizzazione, che spesso non viene neanche considerata dagli adulti, di cui alcune piccolissime sono inconsapevoli vittime”.
Secondo lei, cosa si potrebbe fare per rendere più “a misura di bambino” tutto ciò che descrive in Bellissime, considerando che non sempre accade?
“Il compito dello scrittore e del giornalista è quello di raccontare. In questo caso ho cercato di raccontare il buono e il cattivo di un mondo che tende a stare in silenzio, che cerca di auto preservarsi, che teme il giudizio e lo rifugge. Eppure è solo aprendosi agli altri e al confronto che si può aspirare a un miglioramento. Rendersi conto che non è sufficiente dire a un bambino “le passerelle sono un gioco” perché lui se ne persuada profondamente penso sia un primo passo, poiché come mi hanno spiegato molti esperti l’equilibrio in età così giovani non ha una sua concreta solidità. Riflettere con figure professionali come psicologi e garanti che tutelino l’esposizione del corpo delle bambine è diventato ormai necessario”.
Cosa le è rimasto più impresso dei racconti carpiti nei backstage?
“Una mamma che si era fatta 500 chilometri in macchina per portare la figlia, che non aveva nessun impegno, a Pitti Bimbo. Ha provato diverse sfilate, e poi in una la bimba (bellissima) è stata presa. La mamma aveva bisogno di far apparire la figlia. La figlia voleva fare felice la mamma”.
Chi vorrebbe che leggesse Bellissime?
“Le mamme, le ragazze, gli uomini. Perché è una questione che non riguarda un piccolo mondo, ma si apre alla creazione di stereotipi e di un immaginario futuro e condiviso. Pensare che si tratti di un argomento circoscritto alla moda bimbo è restrittivo, sbagliato. Dalle sfilate e dalle pubblicità nasce un immaginario collettivo che riguarda tutti noi. Ed è giusto appropriarsene ogni giorno”.
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